Con il martelletto battuto alle 4:20 circa del mattino, ora egiziana, nella notte tra sabato e domenica, si è conclusa la Cop27 di Sharm El-Sheikh ed è il momento di tirare le somme. Una decisione storica che si attendeva da 30 anni è stata presa, ma gli impegni per una riduzione davvero significativa delle emissioni di anidride carbonica sono stati rimandati.
Il presidente della Cop27 e ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha sancito l’adozione del documento che pone le basi per la creazione di un fondo per le perdite e i danni subiti dai paesi più colpiti dalla crisi climatica: si tratta del fondo “loss and damage”. Una decisione che ufficializza il tema delle riparazioni come terzo pilastro dei negoziati sul clima dopo mitigazione e adattamento.
“Abbiamo lottato per 30 anni rimanendo sulla nostra posizione e oggi a Sharm el-Sheik questo viaggio ha raggiunto il suo primo grande obiettivo positivo”, ha affermato la ministra per il Clima del Pakistan, Sherry Rehman, durante il suo intervento alla plenaria conclusiva.
Atteso da tre decenni, l’accordo sul Loss&Damage permetterà di sostenere la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili. Quelle messe in ginocchio dai disastri climatici sempre più frequenti. Si stima che entro il 2030 saranno necessari circa 290-580 miliardi di dollari aggiuntivi agli aiuti per l’adattamento.
Un successo sì, ma considerato parziale da molti paesi, in particolare del nord del mondo, secondo i quali non si sarebbe fatto abbastanza per prendere decisioni altrettanto importanti sul tema della mitigazione, cioè della riduzione delle emissioni di CO2. Di fatto, l’unica vera causa dell’aumento della temperatura media globale.
L’Unione europea, il Regno Unito e altri stati avrebbero voluto che nel testo finale della Cop27 di Sharm el-Sheik fosse inserito anche il 2025 come anno in cui si sarebbe dovuto raggiungere il picco delle emissioni a livello globale e un chiaro riferimento a un calo, se non addirittura a un abbandono di tutti i combustibili fossili e non solo del carbone. Senza questi riferimenti espliciti diventa difficile rispettare qualsiasi obiettivo di contenimento del riscaldamento globale. Oggi, infatti, l’aumento della temperatura media globale è già pari a circa 1,2 gradi e considerando che in questi anni abbiamo aumentato le emissioni di gas serra anziché averle ridotte, è facile immaginare che nel prossimo futuro non saremo in grado di fare quello che era previsto sommato a quello che ancora non siamo riusciti a fare.
Questa “Cop africana”, come definita da Shoukry, è stata solo un tassello della storia delle conferenze sul clima. Un tassello che ha messo al centro le conseguenze e non le cause del riscaldamento globale, che ha affrontato la necessità di adeguarsi a un clima che è già cambiato. La speranza è che sia il tassello necessario per riportare la conversazione su un piano di equilibrio a livello geopolitico, per ridare fiducia a un processo che negli ultimi anni aveva perso di autorevolezza perché considerato inutile da larga parte dell’opinione pubblica.
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